Achille Lauro è un genio: se non lo capite, il limite è tutto vostro

Achille Lauro è un genio: ecco, l'abbiamo detto. Un talento vero, sfaccettato, imprevedibile. Non solo: è un performer, sa stare sul palco.

Achille Lauro è un genio: ecco, l’abbiamo detto. Un talento vero, sfaccettato, imprevedibile. Non solo: è un performer, uno che sul palco sa starci e sa esprimersi non solo attraverso il canto, ma anche e soprattutto attraverso la performance, che è piena, totale, ammaliante. Si esprime attraverso il suo look, il trucco, i movimenti. A Sanremo 2020, nel caso ce ne fosse bisogno, ha dimostrato di avere stoffa. No, non addosso.

Achille Lauro, tra elogi e critiche spietate

Non ha ancora trent’anni, eppure sembra che abbia vissuto più di una vita e, soprattutto, che abbia avuto più di una carriera: Achille Lauro, oltre che gusto e intelligenza, ha uno spiccato intuito e una buona cultura che gli permette di avere un atteggiamento accogliente nei confronti della musica – anche di quella che, apparentemente, non gli appartiene. Lauro – dalla sua parte – ha la curiosità, che gli consente di essere inquieto, di contaminarsi, di fondersi con i suoi ascolti e produrre album che sanno abbracciare generi, epoche, suoni diversi.

Sul palco del teatro Ariston, durante la prima puntata del settantesimo Festival di Sanremo, Achille ha messo in scena una vera e propria rappresentazione teatrale, non si è limitato a presentare un brano. È questo, forse, ciò che ha fatto storcere il naso ai più: non è un cantante, ma un interprete nel senso più profondo e compiuto del termine; Lauro racconta una storia, lo fa attraverso tutti gli elementi che l’arte gli mette a disposizione e, quest’anno più che mai, non si è risparmiato, arrivando a conciliare musica, pittura, teatro e religione.

Sì, perché – dopo essere sceso dalle scale dell’Ariston con un mantello di velluto nero bordato di oro, si è spogliato e ha sfoderato una tutina di strass color carne. Scalzo. Irriverenza, mancanza di rispetto, mero esibizionismo per far parlare di sé? No: ha voluto interpretare la celebre scena attribuita al maestro del Rinascimento Giotto in una delle «Storie» di San Francesco della Basilica Superiore di Assisi (il ciclo realizzato tra il 1292 e il 1296 circa). In particolare, poi, ha citato il momento in cui il Santo si è spogliato dei propri abiti e di ogni bene materiale per darsi alla religione. Per la performance messa in scena, Lauro ha collaborato con Alessandro Michele, direttore creativo di Gucci.

Siete ancora sicuri, dunque, di voler criticare a cuor leggero un artista dinamico, folgorante e atipico, solo perché la sua voce non risponde ai canoni del belcanto per cui il nostro Paese è famoso? Eppure, ciò che fa più riflettere è che l’Italia è il posto che ha visto sbocciare il talento estroso e imprevedibile di Renato Zero e Patty Pravo, giusto per citare due nomi che hanno fatto la storia della canzone italiana, anche e soprattutto grazie alla provocazione, all’irriverenza, alla voglia di abbattere ogni cliché.

Avete la memoria corta, a quanto pare, ma non è mai troppo tardi per rimediare…

 

 

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