Giulio Regeni, tutta la storia completa: chi era e perché fu ucciso

Giulio Regeni era un giovane ricercatore italiano dell'Università di Cambridge, torturato e ucciso a Il Cairo nel 2016 dalla polizia egiziana

Giulio Regeni era un giovane ricercatore italiano dell’Università di Cambridge, torturato e ucciso a Il Cairo nel 2016 dalla polizia egiziana. I genitori del ragazzo ancora non hanno avuto le dignitose Verità e Giustizia che meritano. Scopriamo tutta la drammatica storia.

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Tutta la storia completa di Giulio Regeni

Il 3 febbraio 2016 è stato ritrovato il corpo nudo e senza vita, di Giulio Regeni. Era stato rapito il 25 gennaio dello stesso anno. Luogo del ritrovamento è un fosso lungo l’autostrada che collega Il Cairo ad Alessandria, nelle vicinanze di una prigione dei servizi segreti dell’Egitto. Il cadavere mostrava palesi segni di tortura e mutilazioni. Il ragazzo aveva 28 anni.

Chi era Giulio Regeni?

Nato a Trieste il 15 gennaio 1988, Giulio Regeni era un giovane ricercatore italiano dell’Università di Cambridge. Cresciuto a Fiumicello, una cittadina in provincia di Udine. Si è trasferito negli Stati Uniti d’America per studiare al College, all’Armand Hammer United World, nel Nuovo Messico. Brillante nei suoi studi, ha proseguito la sua formazione universitaria a Leeds e a Cambridge, nel Regno Unito, per poi continuare a Vienna.

Giulio Regeni / Foto: Focus On Africa

Giulio Regeni / Foto: Focus On Africa

Origini

Italiano, parlava cinque lingue, tra cui l’arabo, Regeni ha vinto per due anni consecutivi, nel 2012 e nel 2013, il premio Europa e giovani, un concorso internazionale organizzato dall’Istituto regionale studi europei, dove si è distinto per le sue ricerche e gli approfondimenti sul Medio Oriente. Aveva già lavorato al Cairo per l’UNIDO e aveva svolto per un anno ricerche per conto la società privata di analisi politiche Oxford Analytica. Nel 2016 stava conseguendo un dottorato di ricerca presso il Girton College dell’Università di Cambridge e si trovava in Egitto per svolgere una ricerca sui sindacati indipendenti egiziani presso l’Università Americana del Cairo.

Giulio Regeni e la sua famiglia, mamma Paola, papà Claudio e la sorella Irene/ Foto: Telefriuli

Regeni seguiva con attenzione il governo di al-Sisi. Scriveva rapporti sul Nord Africa, analizzando tendenze politiche ed economiche. Aveva deciso di concentrarsi sui sindacati indipendenti egiziani, i cui scioperi avevano predisposto il popolo egiziano alla rivolta contro Mubarak. Pubblicava articoli tramite l’agenzia di stampa Nena, scritti spesso con lo pseudonimo Antonio Drius, dove descriveva la difficile situazione sindacale dopo la rivoluzione egiziana del 2011.

Fidanzata di Giulio Regeni

Valeriia Vitynska era la fidanzata di Giulio, una ragazza ucraina che il ragazzo aveva conosciuto quattro anni prima a Berlino. I due si erano ritrovati quando lei, per caso andò al Cairo per lavoro e riallacciarono i rapporti. In un messaggio a un amico, Regeni scrisse:

Era più bella di quanto ricordassi.

Insieme fecero un viaggio sul Mar Rosso e quando lei tornò al suo lavoro a Kiev, continuarono la loro relazione via Skype.

Giulio Regeni e la fidanzata il giorno della laurea della ragazza / Foto: The New York Times

Giulio Regeni e la sorella Irene il giorno della laurea della ragazza / Foto: The New York Times

La scomparsa

La sera della sua scomparsa, il 25 gennaio 2016, era il quinto anniversario della rivolta sindacale del 2011. La città del Cairo era blindata per motivi di sicurezza. Regeni aveva trascorso la giornata a casa, lavorando e ascoltando musica. Soltanto dopo il tramonto il ragazzo si sentì abbastanza sicuro per uscire dal suo appartamento per andare a una festa di compleanno. Si avviò, quindi, verso un caffè vicino a Piazza Tahrir, dove lo attendeva un suo amico italiano.

Prima di uscire, Regeni inviò un messaggio a Vitynska, dove la informava che stava uscendo. Erano le ore 19.41.

Anche se la stazione della metropolitana distava soltanto pochi passi, alle ore 20.18 Regeni ancora non era arrivato all’appuntamento con il suo amico che iniziò a preoccuparsi, tentando di rintracciarlo telefonicamente. Il cellulare di Giulio, non diede segni di vita.

Poco dopo Noura Wahby, un’amica studentessa di Regeni, denunciò sul suo profilo Facebook la scomparsa del ricercatore. Durante i giorni della scomparsa vennero lanciati su Twitter gli hashtag:

#whereisgiulio

#جوليو_ـفين

#doveègiulio

Cosa è successo

Regeni era stato rapito e il suo omicidio è stato commesso tra la fine di gennaio e l’inizio di febbraio 2016.

Il martoriato corpo del ragazzo, al ritrovamento, presentava evidenti segni di tortura, al punto che la madre disse:

Non avrei mai immaginato di riconoscere il mio Giulio soltanto dalla punta del naso

e ancora

ho visto nel volto di mio figlio tutto il male del mondo.

Claudio e Paola Regeni, i genitori del giovane ricercatore italiano in attesa di Verità e Giustizia dopo sei anni e mezzo dalla morte del loro figlio / Foto: Fanpage

Claudio e Paola Regeni, i genitori del giovane ricercatore italiano in attesa di Verità e Giustizia dopo sei anni e mezzo dalla morte del loro figlio / Foto: Fanpage

Dove abitava Giulio Regeni

Regeni abitava a Dokki, un quartiere in mezzo al traffico, tra le piramidi ed il Nilo. Aveva una stanza in un appartmento che condivideva con altri due giovani professionisti, Juliane Schoki, un’insegnante di tedesco, e Mohamed El Sayad, avvocato.

Il quartiere non è una zona alla moda e turistica ma è molto comodo. È distante soltanto due fermate di metropolitana dal centro del Cairo, pullula di alberghi economici, bettole e circonda Piazza Tahrir. Lì Regeni aveva fatto amicizia con artisti e scrittori. Perfezionava il suo arabo ad Abou Tarek, un emporio famoso del Cairo per il koshary, il piatto tradizionale egiziano di riso, lenticchie e pasta. Trascorreva ore intere a intervistare venditori di strada a Heliopolis e nel piccolo mercato dietro la stazione Ramses. Per ottenere la loro fiducia, mangiava dagli stessi carretti sporchi dei suoi interlocutori.

Ricerca

Immediatamente dopo il ritrovamento del corpo, il generale Khaled Shalabi, direttore delle indagini di Giza, ha dichiarato che Regeni era stato vittima di un semplice incidente stradale. Ha smentito la voce che nel cadavere ci fossero tracce di proiettili o accoltellamenti. In un secondo momento, la polizia egiziana ha sostenuto che l’omicidio poteva essere avvenuto a causa di una relazione omosessuale, oppure per spaccio di droga. Secondo altre ipotesi, Regeni era coinvolto nel controspionaggio egiziano.

Sono stati tanti i tentativi di depistaggio da parte delle autorità egiziane che, in un primo momento, avevano garantito collaborazione. Tale disponibilità fu presto disattesa. Gli investigatori italiani ebbero poco tempo per interrogare i pochi testimoni, dopo che gli stessi erano già stati interrogati per ore dalla polizia egiziana. Le riprese video della stazione della metropolitana dove Regeni era stato visto per l’ultima volta furono cancellate. Furono negati i tabulati telefonici sia del quartiere dove viveva il ricercatore sia della zona in cui fu ritrovato il suo corpo.

L’unica certezza è che l’omicidio di Giulio Regeni è stato commesso in Egitto tra gennaio e febbraio 2016. Misera e triste verità!

Assassini

Dopo che il 10 dicembre 2020 la procura della Repubblica di Roma ha chiuso le indagini preliminari, il 25 maggio 2021 sono stati rinviati a giudizio quattro ufficiali della National Security Agency, il servizio segreto interno egiziano: il generale Tariq Sabir, i colonnelli Athar Kamel e Usham Helmi e il maggiore Magdi Sharif. I reati loro contestati comprendono il sequestro di persona pluriaggravato, il concorso in lesioni personali gravissime e l’omicidio, ma non il reato di tortura perché quest’ultimo è stato introdotto nel codice penale italiano solo nel 2017.

I quattro ufficiali indagati risultano irreperibili perché la magistratura egiziana non ne ha fornito gli indirizzi di residenza, né ha concesso ai magistrati italiani di essere presenti agli interrogatori degli indagati stessi, nonostante questi quattro indiziati siano stati iscritti nel registro degli indagati nel dicembre 2018 e nonostante le richieste dalla procura di Roma inoltrate già con la rogatoria del 5 maggio 2019.

La legge italiana prevede che, per svolgere il processo, devono essere notificati gli atti agli imputati al loro indirizzo di residenza.

Perché fu ucciso

Secondo la Procura di Roma, il movente del violento interrogatorio e del conseguente omicidio di Giulio Regeni fu il sospetto, assolutamente infondato, che il giovane ricercatore italiano volesse finanziare una rivoluzione.

La possibilità più allarmante è che la morte di Regeni sia stata un messaggio verso l’Occidente, un tremendo segnale che, sotto al-Sisi, anche un occidentale può essere soggetto agli eccessi più brutali.

Autopsia

Il corpo recuperato mostrava evidenti segni di torture: contusioni e abrasioni in tutto il corpo, lividi estesi, compatibili con lesioni da calci, pugni e aggressione con un bastone. Si sono contate più di due dozzine di fratture ossee, tra cui sette costole rotte, tutte le dita di mani e piedi, così come entrambe le gambe, le braccia e scapole, oltre a cinque denti rotti. Si sono riscontrate parecchie coltellate sul corpo, comprese le piante dei piedi, probabilmente inferte con un rompighiaccio o uno strumento simile a un punteruolo. C’erano, inoltre, tantissime bruciature e numerosi tagli su tutto il corpo, causati da uno strumento tagliente simile a un rasoio, con incisioni somiglianti a lettere, nonché una bruciatura più grande tra le scapole.

Sono state svolte due autopsie separate sul corpo di Regeni, una a cura di medici egiziani, l’altra di italiani. Il 2 marzo 2016 è stato consegnata all’ambasciata italiana una relazione forense ufficiale egiziana dove si attesta che il giovane italiano è stato interrogato e torturato per sette giorni a intervalli di dieci – quattordici ore prima di essere ucciso. L’uccisione sarebbe avvenuta circa dieci ore prima del ritrovamento del corpo. Paolo Gentiloni, allora Ministro degli Esteri italiano, ha dichiarato che le informazioni erano carenti, accusando le autorità egiziane di non aver collaborato sufficientemente con l’Italia per il caso di Giulio Regeni.

I risultati dell’autopsia italiana hanno confermato l’entità delle sue lesioni: Regeni era stato picchiato, bruciato, pugnalato, e probabilmente frustato sulle piante dei piedi per un periodo di quattro giorni. Dall’esame autoptico si è scoperta un’emorragia cerebrale e una vertebra cervicale fratturata a seguito di un violento colpo al collo, probabile causa della morte.

Braccialetto

Tra le tante manifestazioni di solidarietà lanciate da organizzazioni umanitarie, Amnesty International ha promosso lo striscione giallo Verità per Giulio Regeni, per non permettere che l’omicidio del giovane ricercatore italiano finisca per essere dimenticato. Insieme a questa iniziativa, è stata mossa una campagna di sensibilizzazione in tutta Italia, come atto d’impegno civico, con la vendita a di alcuni gadget, tra cui un braccialetto giallo. Lo scopo è quello di dare una mano ai genitori di Giulio Regeni ad avere risposte di Verità e Giustizia.

Braccialetto giallo e richiesta di Verità per Giulio Regeni / Foto: Twitter

Braccialetto giallo e richiesta di Verità per Giulio Regeni / Foto: Twitter

Unghie

Tra le torture inflitte al giovane ricercatore italiano, sembra che gli siano state strappate le unghie delle mani e dei piedi.

Cassazione

Purtroppo, a sei anni e mezzo dall’omicidio di Giulio Regeni, la Verità e la Giustizia sembrano ancora lontane. Venerdì 15 luglio 2022, infatti, i giudici della Cassazione hanno dichiarato che il processo per il sequestro, le torture e la morte del giovane ricercatore italiano non si potrà svolgere fino a quando l’Egitto non fornirà gli indirizzi dei quattro imputati, tutti agenti della National security, il servizio segreto civile egiziano, in modo da notificare loro gli atti.

Ultime notizie oggi sul caso Giulio Regeni

Oggi il processo in Italia per i quattro 007 egiziani, accusati di avere sequestrato, torturato e ucciso Giulio Regeni rischia di arenarsi definitivamente. La legge italiana, infatti, prevede che il processo si può svolgere in Italia soltanto dopo che agli imputati sono stati notificati gli atti al loro indirizzo di residenza.

Il commento dei genitori è intriso di amarezza, dolore e rabbia, ritenendo questa decisione:

una ferita di giustizia per tutti gli italiani!

La maggior parte degli italiani concorda con la seguente riflessione:

Ma è possibile che un paese come l’Italia non riesca ad avere quattro indirizzi? Non possiamo crederci!

Verità per Giulio Regeni / Foto: Twitter

Verità per Giulio Regeni / Foto: Twitter

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