Ormai è una moda criticare i Maneskin: esce il nuovo album e la stampa italiana li stronca… copiando!

I Maneskin hanno pubblicato Rush, il loro nuovo album. La stampa italiana, accodandosi a un articolo americano, li ha stroncati.

Il prezzo che paga chi arriva in alto è uno: diventa bersaglio della stampa, dei social media e della gente comune. I Maneskin lo sanno bene, del resto –  in appena sei anni di carriera e a due dal successo mondiale con Zitti e buoni – hanno conosciuto il sapore agrodolce del successo, che non è fatto solo di riconoscimenti e grandi palcoscenici, ma anche di critiche e stroncature severe. Ed è giusto così. Se non fosse che, a volte, certe stroncature non rivelino nulla del bersaglio che colpiscono, ma tutto di chi – certe critiche – le muove.

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Si diventa bersaglio della gente comune quasi sempre per invidia sociale, per mancanza di comprensione di un fenomeno e, soprattutto, per totale assenza di spirito critico. Questi due ultimi fattori, uniti alla superficialità, alla fretta e all’urgenza di esporsi sui social, generano dei mostri. Poi ci sono i social media, che – per attirare la gente – utilizzano titoli pruriginosi, sensazionalistici, perché quello che conta è che un post sia commentato, così da fare più click possibili e, quindi, far guadagnare più soldi alla testata. E infine c’è la stampa. E qui si apre un mondo. Esiste un giornalismo intellettualmente onesto, che scava e porta alla luce un fenomeno, lo rivela, lo critica (nel significato più nobile del termine). E poi esiste un giornalismo che si accoda a un trend, lo sfrutta e lo cavalca finché serve.

Maneskin: nasce Rush e la stampa muore

Quindi, se “serve” raccontare i Maneskin come una realtà mediocre, priva di sostanza, di contenuti, di talento, certo giornalismo lo fa. E lo fa perché non serve fare critica, ma assecondare una percezione comune. Lo fa perché bisogna fare in fretta, non c’è tempo di sviluppare un’idea. Lo fa perché la recensione di un disco, pubblicata su Facebook, non ha nessun appeal, mentre un articolo che titola «I Maneskin sono un bluff: canzoni riciclate e mediocri» fa il pieno di commenti (e di click).

A Mariastella da Pontecagnano Faiano non importa nulla di Rush (nuovo disco dei Maneskin), ma importa che i giornali dicano quello che vuole sentirsi dire, ovvero che siano quattro ragazzini senza talento, sopravvalutati, fenomeni da baraccone, sempre svestiti, volgari. E quando a dirlo è un giornale, quel pensiero superficiale (e privo di un fondo di conoscenza) trova conferma. Perché la gente non legge per imparare, ma per trovare conferma di quel che pensa. Di quel che è facile pensare.

Nello specifico, da ore il web è invaso da testate italiane (anche autorevoli) che pubblicano una recensione negativa di Rush, fatta da un nota rivista statunitense, The Atlantic. Un copia e incolla che fa gola, e che certamente non avrebbe avuto alcuna eco se la critica fosse stata positiva. Ma volete mettere quanto sia ghiotta l’opportunità di saccheggiare un contenuto che stronca i Maneskin e darlo in pasto a gente che non aspetta altro? Come si può dire di no?

Però di musica non si parla. Di critica musicale neanche l’ombra. È proprio il caso di dirlo: Rush è nato e la stampa è morta. Di nuovo. E continuerà a morire ogni volta che i giornalisti non faranno il proprio lavoro, ma scriveranno quello che la gente vuole leggere. Che poi leggere è un verbo inappropriato: la gente, in un testo, cerca le parole-chiave del proprio pensiero.

Il giornalismo è un’altra cosa. E i Maneskin, per fortuna, anche.

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