Martina Colombari colpevole di essere in forma: il bullismo sui magri non è meno grave

Martina Colombari ancora una volta al centro delle polemiche per il suo fisico, giudicato troppo magro: insulti e critiche sul web. L'analisi

Si è tanto lottato e si continua a lottare duramente per combattere il cosiddetto body shaming, termine ormai di uso comune e spesso abusato, che indica una forma di bullismo che colpisce l’aspetto fisico delle persone. Coinvolge tutti, chi è troppo grasso e chi è troppo magro. Anzi, per meglio dire, chi è troppo grasso o troppo magro agli occhi di chi punta il dito. Perché si tratta di un giudizio e del peso che tale giudizio ha sulla persona presa di mira. Il caso di Martina Colombari, colpevole di essere «troppo magra», ne è un esempio.

Martina Colombari e gli insulti sul web

Martina Colombari viene spesso accusata di essere un cattivo esempio per le sue follower, in quanto – a detta di alcuni suoi seguaci – inciterebbe all’anoressia. In verità, a scanso di ogni equivoco, la Colombari ha semplicemente un fisico atletico e ben curato, il fisico sano di una persona che fa sport e si prende cura di sé. Niente di più. Eppure, la gente continua a muoverle accuse pesanti, che – a dire il vero – rivelano molto poco sulla Colombari, ma spiegano bene l’ignoranza e la leggerezza con cui vengono affrontati certi temi.

Ecco le sue parole a proposito degli attacchi che riceve quotidianamente sul web:

Sui social si lamentano perché sono troppo muscolosa o troppo magra. Mi arrabbio molto quando dicono che sono un cattivo esempio per le ragazze, che porto il messaggio della donna anoressica. Non si rendono conto che l’anoressia è una malattia che porta alla morte, è come se mi accusassero di incitare alla magrezza. (…) Non si rendono conto che con le parole si feriscono le persone, spesso mi dicono che sono una anoressica schifosa.

Di cose da dire ce ne sarebbero tante, a tale proposito. Alcune ovvie, ma evidentemente non per tutti. Ad esempio, è ovvio, ma a quanto pare bisogna ribadirlo, il body shaming non riguarda solo la grassezza, ma anche la magrezza. Dire «Mangia di meno, sei troppo grasso» non è più grave di «Mangia di più, sei troppo magro», perché la magrezza, esattamente come la grassezza, può rappresentare un disagio reale per chi convive con un certo tipo di corpo. Conseguentemente, parlare a sproposito di obesità o di anoressia è grave e pericoloso.

Non solo: negli ultimi tempi, a fronte di una società grassofobica, l’aggettivo “grasso” è stato messo al bando e sostituito da termini che spesso, ipocritamente, voglio dire esattamente la stessa cosa, ma sono politicamente corretti: curvy, morbido, burroso. Spesso, di fronte a un corpo evidentemente sovrappeso, si parla di un fisico curvy. Tutto questo non è altro che fumo negli occhi: eludere il problema, che è quello del bullismo verso i grassi, puntando il dito contro l’aggettivo “grasso” e sostituendolo con un altro aggettivo, meno aggressivo e crudele, ma che, spesso, dice la stessa cosa.

L’aggettivo “magro”, invece, è rimasto “magro”, perché – come affermato poc’anzi – si pensa che non possa ferire o portare a situazioni di disagio o a fraintendimenti dovuti a scarsa empatia o conoscenza dell’argomento. Insomma, se una persona grassa pubblica una foto in cui mangia un piatto di pastasciutta, nessuno le dice «Inciti all’obesità», ma, se Martina Colombari pubblica una foto in cui fa sport, le dicono che incoraggia l’anoressia. Questo per dire che, di fronte alla grassezza, più o meno evidente ed eccessiva, si sta provando, maldestramente, ad avere un atteggiamento di accettazione; di fronte alla magrezza, invece, ci si sente ancora liberi di puntare il dito. Che poi l’accettazione non sia una soluzione ma un palliativo, è un’altra storia, ma adesso è il caso di soffermarci sul caso della Colombari.

Il caso di Martina Colombari

Mi rivolgo, adesso, direttamente a chi punta il dito contro di lei, affrontando – punto per punto – la questione.

Inizio dalla cosa più ovvia, che – a quanto pare – anche in questo caso non lo è affatto: se incontraste la Colombari per strada, vi sognereste mai di dirle «Sei una anoressica schifosa, incoraggi l’anoressia»? Rispondo io per voi: no. Di conseguenza, non dovreste farlo nemmeno sui social. Allo stesso modo, dunque, il fatto che un personaggio pubblico debba accettare le critiche in quanto personaggio pubblico è un’invenzione di chi passa le giornate a vomitare la propria infelicità sui social. Non si può e non si deve in alcun modo giustificare la maleducazione, l’aggressività, la violenza di chi è colpevole attribuendo la colpa alla vittima. Sarebbe come dire «Non è colpa mia che ti insulto, è colpa tua che mi concedi l’occasione di farlo», è sbagliato a prescindere e su questo non dovremmo nemmeno stare a discutere.

Non è finita qui: criticare è molto diverso da insultare, perché, se la critica è «l’attività del pensiero impegnata nell’interpretazione e nella valutazione del fatto», i vari «Anoressica schifosa», «Sei orribile», «Sembri un uomo» non sono critiche, ma insulti. Il punto è che per provare empatia, solidarietà o semplicemente rispetto verso una donna, sembra che sia necessario che la donna in questione sia una alla portata di tutti. Se si allontana da un certo canone di normalità, diventa subito un bersaglio da colpire. Se la Colombari fosse stata in carne e avesse scritto «Cerco di perdere i miei chili di troppo», le avrebbero risposto «Sei bellissima così», «Donna meravigliosa», «Meglio le curve che un fisico tutto ossa». Ma siccome è una quarantenne in perfetta forma, allora è da criticare. O insultare, ché non è la stessa cosa.

C’è da dire, inoltre, che è molto grave il fatto che non la gente non sappia distinguere un magro sano da uno insano, è pericoloso parlare a cuor leggero di anoressia, bulimia o semplicemente di eccessiva magrezza senza sapere esattamente cosa si stia dicendo.

In definitiva, anche in questo caso, bisogna ricordare che le parole hanno un peso e che bisogna imparare a usarle con empatia. Le parole hanno un peso sempre, anche e soprattutto di fronte a un problema che non conosciamo o a una persona che non ci somiglia; l’empatia, a tale proposito, fa da collante. Riusciremo prima a poi a non trattare con disprezzo o sufficienza chi è diverso da noi? 

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