In Rai si sfiora il ridicolo, Marco Liorni si autocensura ma Matone ha il permesso di essere sessista

Marco Liorni, durante Reazione a Catena, fa il bigotto e censura una parola che non è una parolaccia, ma Simonetta Matone può dire il peggio

Ormai è chiaro: in Rai l’attenzione di tutti i dipendenti è alle stelle, tutti sembrano ormai sotto scacco e sotto controllo speciale di una ronda bigotta e ridicola. Sembra sempre più chiaro, quindi, quali siano i motivi che hanno spinto alcune dei volti di spicco ad abbondare la nave, prima del naufragio definitivo in un mare di finto buonismo e censura.

L’ultima dimostrazione è stata data al pubblico da Marco Liorni, durante l’ultima puntata di Reazione a catena. Il conduttore ha deciso di autocensurarsi, evitando di pronunciare una parola innocua, durante uno dei giochi.

E voi penserete: beh, meglio una parola inopportunamente censurata in più che una in meno. Ma il problema sta proprio qui. Mentre ci si affanna a coprire il nulla, contemporaneamente, sulla rete di Stato vanno in onda discorsi e ragionamenti che meriterebbero sanzioni e rivolte generali. Come quelli esposti da Simonetta MatoneDomenica In. 

Marco Liorni censura Il ballo della sora Assunta: cosa è successo ieri?

Nella puntata di Reazione a Catena, in onda lunedì 20 novembre, Marco Liorni ha cambiato la parola di una canzone, ritenuta probabilmente ”inadatta”. Ma di cosa si trattava? Di una parolaccia? Di un insulto? Di un aggettivo sessista, razzista o omofobo? Niente di tutto questo, come ci augurerebbe, senza risultati.

Il conduttore ha deciso di censurare la parola ”bona”. Il brano in questione è Il Ballo Della Sora Assunta e la strofa ritenuta inopportuna è quella che riporta: «Daje de tacco daje de punta, quanto è bona la Sora Assunta», che Marco Liorni ha trasformato in: «Quanto è carina la Sora Assunta».

Ora, sappiamo già cosa penseranno gli ignoranti di turno. Che le donne si ”lamentano” tanto per non essere ”sessualizzate”, che sbandierano indignazione di fronte alla piaga sociale del catcalling quando qualcuno urla ”bona” per strada. Ma è la prova provata che non si riesce a identificare chiaramente cosa ha senso e cosa non lo ha. E questa incapacità ci dimostra sempre di più che non si ha minima coscienza di cosa è giusto e cosa non lo è.

”Bona” non si può dire, ma dare la colpa alle donne sì

Ma perché serve indignarsi di fronte a certe buffonate? Serve farlo, soprattutto se queste pillole di bigottismo vengono servite allo stesso tavolo di dichiarazioni misogine, sessiste e altamente pericolose. Marco Liorni censura la parola ”bona”, ma nessuno censura discorsi come quelli di Sara Matone a Domenica In. 

La Pm, da Mara Venier, ha esposto le sue inappropriate considerazioni riguardo l’omicidio di Giulia Cecchettin. Nel corso della trasmissione, ha sottolineato come nella sua carriera, si fosse imbattuta in uomini che avevano avuto in riferimento della madri colpevoli di non saper reagire alla violenze che subiscono in casa.

Affidando per l’ennesima volta, come la Ministra Roccella, la causa della cattiva ”condotta” degli uomini e dei femminicidi alle donne. Ecco le parole che avrebbero, realmente, meritato una censura o perlomeno una sanzione successiva:

«Nella mia carriera, purtroppo, ne ho viste di situazioni simili, e sono uomini italici, figli di donne tipicamente italiche. Sono atteggiamenti che tendono a perpetrarsi. Cosa voglio dire. Sono archetipi che si perpetrano attraverso l’educazione, l’esempio, il perdonargliele tutte, il pensare che questa ossessione sia amore. Io non voglio crocifiggere questa povera donna che sarà distrutta, però il problema è quello. io non ho mai incontrato dei soggetti gravemente maltrattati, gravemente disturbati che avessero però delle mamme normali. Non ne avevano. Vuol dire prendere le botte dal padre e non reagire, fare vivere il figlio in un clima di terrore e violenza e fargli credere che tutto questo è normale, non ribellarsi mai, subire ricatti di tutti i generi e imporre questo modello familiare al proprio figlio che lo perpetrerà. Perché i maltrattamenti familiari sono una catena di Sant’Antonio.»

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