Il caso di Ambra Angiolini: ma meno male che oggi non si può dire più niente

Ambra Angiolini, in passato, è stata vittima di body shaming da parte della stampa, ma siamo sicuri che le cose siano cambiate?

La vicenda di Ambra Angiolini, che recentemente ha pubblicato – su Instagram – un post in cui ha raccolto video e stralci di giornale in cui veniva definita “grassa”, “palloncino gonfiato”, “extra large” (quando aveva appena diciassette anni), mi porta a fare alcune riflessioni.

La prima riguarda la frase più inflazionata, abusata, faziosa e ingannevole degli ultimi anni, ossia «oggi non si può dire più niente». Smontiamo subito questa enorme (e anche pericolosa) bugia: no, non è vero che oggi non si possa dire più niente. È vero, piuttosto, che oggi si abbia maggiore consapevolezza su certi temi, come quello del rispetto del corpo (di qualsiasi corpo si tratti).

Quelli che sostengono che non ci sia «niente di male» a sottolineare che una persona sia dimagrita o ingrassata «perché è la verità», probabilmente sono figli di quella cultura che, pochi decenni fa, metteva alla gogna una adolescente per il suo peso.

Ma è vero che oggi non si può dire più niente? Il caso di Ambra

Non poter dire più niente (che tradotto nel linguaggio delle persone perbene è «rispettare chiunque, qualsiasi cosa sia e faccia, finché resta nel raggio della propria libertà e autodeterminazione») è un vantaggio per tutti e tutte, perché a tutti e tutte può capitare di essere vittime di una violenza. Perché, sì, giudicare il corpo di una persona, in questo caso addirittura attraverso i media, è una violenza inaudita.

Se pensiamo, poi, che la persona in questione era appena adolescente, il fatto dovrebbe indignarci tutti. È vero che di anni, da allora, ne sono passati trenta, ma è altrettanto vero che quel tipo di cultura, che faceva e fa – del corpo – motivo di giudizio e offesa, esiste ancora. Semplicemente, a volte, sottovalutiamo i danni che può fare. A volte, invece, crediamo che sia un nostro diritto esprimere quello che pensiamo.

E veniamo alla seconda riflessione, che riguarda il mezzo attraverso cui questa violenza oggi trova modo di esprimersi: i social. Capita di sentir dire che i social ci abbiano cambiato, rovinato, deviato, ma la verità è che tentiamo, piuttosto goffamente, di deresponsabilizzarci: i social sono solo un megafono del nostro pensiero, sono un mezzo che pensiamo legittimi la nostra libertà di esprimerci («perché questo è il mio account e dico quello che voglio») o forse sono la nostra libertà di esprimerci che crediamo legittimi il mezzo («sono libero di dire quello che penso e lo faccio tramite i miei social»).

La verità è che i social sono solo un palcoscenico su cui chiunque può salire. E, purtroppo, sono un palco con un pubblico fatto, potenzialmente, da migliaia di persone. Non importa essere popolari, basta un commento sul profilo di un personaggio più o meno celebre e il nostro pensiero, da che era nostro e basta, diventa di chiunque, arriva a chiunque.

In definitiva…

Ecco, quello che è successo ad Ambra è avvenuto trent’anni fa, ma oggi accade ancora, perché quella società ha formato milioni di persone, convinte che il body shaming sia frutto di una cultura che censura, che limita la libertà d’espressione, dove per libertà d’espressione si intende la facoltà (se non il diritto) di giudicare e offendere.

Meno male che non si può dire più niente, se “poter dire” significa offendere una persona per il proprio corpo.

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