La Regina Elisabetta era una vera femminista? Storia e contraddizioni di una donna privilegiata al potere

La Regina Elisabetta, banalmente, in quanto donna al potere (potrebbe ricordare qualcuno dell'attuale storia politica italiana) sembra godere dell'investitura ad honorem di femminista. Ma cosa ci raccontano i fatti e la sua storia in merito?

Partiamo da una riflessione onesta, la Regina Elisabetta è morta e la grande maggioranza della gente ha creduto di subire un lutto personale sulla base di un ideale distante e poco concreto. Solo una piccola parte si è chiesta cosa fosse effettivamente giusto credere e pensare di questa donna e della sua storia. Io l’ho fatto e non avendo le risposte sono andata a cercarle. In questo articolo potrò spesso contraddirmi e mettere su carta diverse opzioni, alla fine starà a voi trarre le conclusioni.

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La Regina Elisabetta era una femminista?

La Regina Elisabetta, banalmente, in quanto donna al potere (potrebbe ricordare qualcuno dell’attuale storia politica italiana) sembra godere dell’investitura ad honorem di femminista. In questi termini Elisabetta II gode di un albero genealogico di tutto rispetto (Anna Bolena, Elisabetta I), ma cosa ci raccontano i fatti e la sua storia in merito?

Cosa ha fatto?

Per iniziare a comprendere la storia della Regina Elisabetta ho deciso di mettere in fila i fatti noti che la riguardano. Ecco cosa sappiamo di lei e del suo ruolo.

Al compimento dei diciotto anni, nonostante il padre Giorgio IV fosse contrario, Elisabetta si è arruolata nell’Auxiliary Territorial Service, ramo femminile della British Army.
Qui, conosciuta con l’identificativo n. 230873, viene addestrata come autista e meccanico: ad oggi è l’unica donna della Royal Family ad aver servito nell’esercito.

All’età di 25 anni, nel 1952, diviene sovrana di una delle principali potenze mondiali. In un contesto non esattamente femminista come erano gli affari di Stato, lei seppe indubbiamente farsi strada in un mondo costruito da e per gli uomini.

Nel 1998 portò in auto il re dell’Arabia Saudita Abdullah, pur sapendo che in quel Paese alle donne non era permesso guidare. Di certo uno smacco e un privilegio che puoi permetterti se sei ”la Regina d’Inghilterra” ma che le vale il giusto merito.

Probabilmente sono tanti altri gli aneddoti che si potrebbero tirar fuori dal cappello con veletta della Regina, ma lascio a voi la ricerca e le ulteriori considerazioni in merito.

Il ”culto” della Regina Elisabetta: essere donna e privilegiata

Spesso sento dire che la sua ”dedizione alla Corona” le garantì il rispetto necessario per governare. Perché ad una donna è quello che viene richiesto: la dedizione e il sacrificio. Ma quello che sarebbe giusto dire, invece, è che la sua intelligenza e abilità nelle scelte le hanno permesso di diventare quel che è a livello simbolico e di conseguenza a livello di potenza storica. Non mi soffermo adesso sull’ovvietà di dover considerare il privilegio che le ha permesso di essere quel che è e senza il quale non ne staremmo a parlare.

L’imperialismo

Nella storia della Regina Elisabetta, però, non ci sono solo apparenti medaglie femministe, cappelli eccentrici e aneddoti storici. E’ importante non dimenticare il ruolo fondamentale di questa donna e del suo Paese nella colonizzazione di interi territori. In uno dei suoi discorsi prima di salire al trono Elisabetta definì la sua famiglia una famiglia imperialista senza mai sentire il bisogno di smentirsi o di rinnegarlo in futuro.

È giusto, quindi, valutare la massima ”Se sei una vera femminista, non puoi essere anche questo”? Nel caso di Elisabetta II non puoi essere un simbolo femminista e simbolo di monarchia e colonialismo allo stesso tempo. E forse non si potrà mai pretendere che sia entrambe le cose, una donna forte e una privilegiata, senza che una sia una conseguenza dell’altra.

Il Principe Andrea

Per quanto si possa cercare di aggiustare il tiro su un forte simbolo femminile come quello che è stato il regno della Regina Elisabetta, alcune ”macchie” (perdonatemi il termine) non possono essere rimosse. E come se il colonialismo non bastasse a farci un’idea e ad allontanarci dal mito in maniera concreta, si aggiunge anche lo scandalo del Principe Andrea, figlio prediletto di Elisabetta II.

Invischiato fino alla punta dei capelli nello scandalo di Epstein, che ha scatenato il potentissimo movimento femminista del Me Too, il Principe Andrea non ha fatto neanche un giorno di galera. Indovinate grazie a chi? Esatto, grazie alla Regina madre.

Elisabetta ha sborsato ben 12 milioni di euro, per giunta con il disappunto del nuovo Re Carlo (non esattamente un santo) e del futuro Re William suo figlio. La regina, inoltre, ha pagato un risarcimento milionario ad una delle vittime che lo aveva denunciato – Virginia Giuffrè – per mettere a tacere definitivamente ogni collegamento e salvando così molti degli uomini milionari coinvolti in una rete di abusi senza precedenti, della quale ancora tutte le carte sono da scoprire.

E andrà anche bene sottrarre un simbolo dal suo contesto culturale e dalla sua dimensione storica, ma sulla protezione agli abuser c’è poco da fare il pelo in quattro. Da una roba così non ti salvi neanche se sei la Regina Elisabetta, governi un paese per 70 anni e balli con i tuoi tacchetti color pastello sulla tomba di tutti i potenti maschilisti della storia del mondo.

Conclusioni

La Regina Elisabetta ha, sicuramente, il merito di aver reso ininfluente il suo genere, rendendosi una delle poche donne al comando, che non ha mai sofferto la necessità di stare né al fianco né alle spalle di alcun uomo.

A lei, come a tutte le donne al potere in ruoli storicamente maschili, è concesso il diritto alla complessità che la sua storia richiede. Non dimenticando, però, l’ovvio citato fin qui.

Essere una donna non significa essere una femminista. In diversi momenti delle nostre vite, quasi tutte non abbiamo agito e pensato da femministe, vittime tutte di una società a stampo patriarcale che ci ha reso innate tendenze e credenze sulla nostra stessa vita. La lotta, però, non può fermarmi alla superfice. Oggi sappiamo tutte meno di quello che sapremo domani. Non accontentiamoci.

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