Interviste POP: Annalisa Minetti, non è un dovere essere normali

Cantante, atleta, mamma: Annalisa Minetti è una donna forte e instancabile. Ecco cosa ci ha rivelato l'artista sul "Nemico Invisibile".

Sono passati ventitré anni da quando, non ancora ventenne, Annalisa Minetti ha partecipato a Miss Italia, dove – oltre a esibire la sua bellezza – ha dimostrato subito di avere un talento naturale per la musica. Di lì a pochi mesi, ha preso parte alla quarantottesima edizione del Festival di Sanremo: era il 1998 e, con Senza te o con te, Annalisa vinceva sia la categoria Giovani che quella dei Campioni. Poi altri due Festival, la carriera come atleta paralimpica, due figli, Fabio ed Elena, e ora il progetto Nemico Invisibile, un’iniziativa musicale a sostegno della lotta contro il Coronavirus, che aderisce a una raccolta fondi destinata ad Auser (Associazione per l’invecchiamento attivo) e che resterà attiva per l’intera durata dell’emergenza da pandemia.

Le parole di Annalisa Minetti

Annalisa, iniziamo proprio dal progetto musicale Nemico Invisibile, con Mario Biondi e Marcello Sutera. Com’è nata l’idea di questo lavoro?

Questo progetto è nato dall’idea di voler intervenire in un momento di grande emergenza, ma soprattutto di far intervenire la musica. Avevo bisogno di creare una squadra che avesse una grande credibilità morale e etica, non soltanto artistica. Quindi, quando ho pensato alle persone che avrebbero fatto parte di questo gruppo, mi sono rivolta ad alcuni amici, tra cui Marcello Sutera e Mario Biondi. Quando ho chiamato Mario, lui è stato subito disponibile non solo a cantare il brano, ma a far parte dell’organizzazione, mi ha aiutato in tutto e per tutto, nella produzione artistica e nella scelta dei nomi degli altri componenti della squadra. Quindi la presenza di Dodi Battaglia, Gaetano Curreri, Petra Magoni, Jean-Paul Maunick (Incognito) e di Andrea Callà, che con il suo rap ci ha permesso di arrivare a un pubblico più giovane, è stata possibile grazie alla sua collaborazione. A titolo gratuito non si sono esposti soltanto gli artisti, però, ma anche gli addetti ai lavori, quindi dalla produzione musicale agli uffici stampa, fino ai digital manager. Tutti hanno operato gratuitamente, pensa che ci sono venticinque vocalist, con delle voci straordinarie, che solitamente affiancano grandi artisti della canzone italiana. Sono davvero felice, la musica ci permette di superare questo momento di isolamento ed è il mezzo con cui parliamo di speranza, la speranza di rinascere, di risorgere, di non lasciarci travolgere, ma di sfruttare l’opportunità che viene dal dolore.

Peraltro, è anche un modo per dimostrare che la musica e l’arte non sono elementi accessori in un momento di emergenza come quello che stiamo vivendo.

La musica è una colonna sonora, a volte fa da sfondo, a volte da supporto, a volte è incisiva, dipende dal ruolo che scegli di darle. Sì, è vero, a volte può essere semplicemente qualcosa di accessorio, ma con la sua forza può vestire ruoli diversi. In questo caso, per noi è un mezzo di comunicazione.

Il nostro tempo, primo brano estratto dal progetto Nemico Invisibile, non sarà il solo capitolo di questo lavoro, ma ce ne saranno altri. Cosa puoi anticiparci?

Il prossimo brano è un pezzo che ha una caratteristica musicale più estiva, ha un suono reggae. Avremo degli altri ospiti, stavolta si tratterà di alcuni nomi molto noti della musica internazionale. E sarà in inglese.

Il momento che viviamo è senz’altro particolare, far fronte a un cambio così repentino delle nostre abitudini quotidiane non è stato semplice. Com’è stato il tuo primo approccio a questo periodo di quarantena?

Io sono un’atleta e, poco prima dell’inizio dell’emergenza, mi stavo allenando per qualificarmi alle Paralimpiadi di Tokyo, stavo lavorando, avevo sfidato il cronometro, sapevo di potercela fare. Quindi, il primo approccio è stato quello di prendere consapevolezza con ciò che stava capitando: sapevo che fermarmi per qualche mese avrebbe significato vanificare tutto il lavoro svolto e dover ricominciare da capo. Di conseguenza mi sono detta: «Hai quarantatré anni, non è così scontato che tu riesca a tornare sulle tue gambe e a rimetterti in forze per l’anno che verrà». Ma c’era e c’è un’emergenza in corso, quindi il primo pensiero è andato alla famiglia, ai miei figli e a mio marito, e stare in casa è il solo modo che abbiamo per tutelare noi stessi e gli altri. Quindi abbiamo deciso di abbassare il capo e accettare questa condizione. Poi, per il resto, lo stare in casa non ha rappresentato un cambiamento significativo per me. Io amo stare tra le mie mura, mi rassicurano e, indipendentemente dall’emergenza che stiamo vivendo, io ho sempre dato la priorità alla famiglia. Quindi, se le mie scelte professionali rischiano di compromettere la mia presenza in casa, molto spesso scelgo di rinunciare.

Spesso, ci soffermiamo su quello che avremmo potuto fare se non ci fosse stato il Coronavirus. Ma io ti chiedo il contrario: c’è qualcosa che sei riuscita a fare in questo periodo, che magari rimandavi da tempo?

Rimandavo gli esami all’università! In questo periodo ho avuto il tempo di rimettermi sui libri, quindi ho dato due esami e ne darò altri due il mese prossimo. Così facendo, credo che a marzo riuscirò finalmente a laurearmi. Pensa che l’anno scorso, in un anno, ho fatto un solo esame (scoppia a ridere, ndr)! Non essendo un’esigenza di lavoro, ma una mia soddisfazione personale, non davo priorità allo studio, così tra gli allenamenti, la musica e i bambini, finivo per mettere i libri da parte.

Cosa studi?

Scienze motorie, mi serve per avere più consapevolezza come atleta, ma in realtà la mia volontà è quella di prendere un master in Psicologia dello sport e specializzarmi nell’aspetto psicologico e cognitivo dell’attività motoria.

Tu, per molti, sei un esempio di tenacia e forza. Senti la responsabilità di essere un punto di riferimento per tanta gente?

Sì. Lo dico sempre, per quanto possa apparire presuntuosa, ma preferisco peccare di presunzione che di ipocrisia. Io sento tutta questa responsabilità e, soprattutto, me la prendo tutta. Ho la volontà di dare voce a tutte le persone che solitamente non hanno voce, voglio rappresentare quella che viene chiamata “popolazione speciale”. E voglio insegnare alle persone che non ci si deve affannare ad essere normodotati, se questo significa essere normali. Se si è speciali in un’abilità, non ha senso inseguire una normalità imposta.

Come se di normalità ce ne fosse una soltanto, oltretutto.

Esatto (sorride, ndr). L’altro giorno guardavo un film su Giovanni Paolo II, che credo sia stato un mentore, al di là del credo religioso di ognuno di noi. Parlo di lui come persona, come figura. Come, del resto, lo è stato Gesù, a prescindere da quello in cui crediamo: è stato il primo grande leader politico, ha fatto politica nel modo più giusto e concreto. Ecco, quello che mi è piaciuto di questo film è che Giovani Paolo II ha detto «Dio scrive dritto anche sulle righe storte degli uomini»: è un’immagine imperfetta, ma potente. Significa che esistono le diversità e devono saper convivere, questo è il vero concetto di normalità. Non è normale la scrittura dritta o la linea storta, ma la convivenza tra le due cose.

Mi permetto di aprire una parentesi. Parliamo ancora di normalità, o di quella che si pensa sia la sola normalità da rispettare. Qualche tempo fa, sei stata vittima di critiche molto severe: l’accusa era di essere una persona egoista per il fatto di aver scelto di diventare mamma.

Io ho riso. Adesso ti racconto una cosa che non ho mai detto prima: la prima volta che sono diventata mamma, quando ero già incinta di Fabio ma non sapevo ancora di esserlo, stavo cercando di adottare un bambino. Mi era stato detto che, essendo io non vedente, non ero una madre idonea all’adozione. Quindi, pensa: mentre io facevo questa richiesta e mi addoloravo per le risposte che ricevevo, in quel preciso istante ero incinta, la natura stava facendo il suo corso, al di là dei giudizi, dei pareri e delle idee degli altri. Sapevo bene che avrei potuto fare un figlio naturalmente, però – sentendo un grande istinto verso la maternità – pensavo che mi sarebbe piaciuto dare un’opportunità a un bambino meno fortunato. Mentre loro mi dicevano che non era possibile, la natura aveva già fatto tutto. E ne ho fatti due, di figli! (sorride, ndr) Sono uno più bello dell’altro, ma soprattutto uno più sereno dell’altro! Sono equilibrati, tranquilli e stanno bene. Io non ho diciotto governanti o aiuti di chissà che tipo: me la cavo da sola, cucino, pulisco, tengo i bambini, li seguo in ciò che fanno. Certo, non li posso portare in macchina a scuola, c’è una ragazza che mi dà una mano, ma è una persona che arriva dove io non posso arrivare. Il senso è questo: la disabilità non è e non deve essere un veto alla maternità. C’è un detto spagnolo che dice «Il figlio è muto ma la madre lo capisce»: la mamma riesce a vedere e sentire il proprio figlio al di là della vista e dell’udito, c’è un filo trasparente ma indissolubile che la lega al suo bambino. Una madre sposta una macchina se il figlio è sotto. Quindi, lasciamelo dire, trovo banale e sciocco criticare una donna che sceglie di essere madre soltanto perché ha un handicap.

Ed è aberrante pensare che una persona si senta in diritto di giudicarne un’altra per una scelta così personale.

Io penso che ognuno debba fare quello che si sente di fare. Le chiacchiere di chi sa soltanto puntare il dito, in tutta franchezza, trovano il tempo che trovano.

Rivolgiamoci al futuro: qual è la prima cosa che farai quando l’emergenza Coronavirus sarà terminata?

Posso essere banale? (scoppia a ridere, ndr) Andrò dal parrucchiere, ho i capelli bianchi! Ho voglia di farmi coccolare un po’: capelli, manicure, pedicure! (ride, ndr)

Concludiamo così: il nostro magazine si chiama DonnaPOP e, per noi, il termine POP rappresenta qualcosa di bello, entusiasmante, accattivante. Cos’è per te POP in questo momento della tua vita?

Pop, per me, è tutto ciò che è attuale e moderno. Anzi, tutto ciò che si evolve. Io sono una donna che ama il cambiamento e lo rispetta.

E lo dimostra la tua storia, ne hai fatta di strada.

Sì, io credo fermamente una cosa: chi ama il cambiamento ama il futuro. Non mi piace crogiolarmi in un problema, preferisco rivolgere lo sguardo a ciò che mi permette di crescere e migliorarmi. Ma, se non posso fare a meno di guardarlo, allora cerco di cambiare il mio atteggiamento nei confronti del problema, di mettermi in discussione, di evolvermi.

Nemico Invisibile

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